Le ricerche condotte nell’ambito dei Piani FonCoop – Avviso 42 presentati dal Consorzio Ruini, nello specifico I.N.P.U.T INnovare i Processi sociali per Uniformarsi ai Territori, hanno tracciato alcune direttrici interessanti per lo sviluppo del Terzo settore, affrontando in modo trasversale il tema della co-progettazione.
L’intervento di Andrea Baldazzini di AICCON ha fornito sull’argomento un contributo di grande interesse che si ritiene utile portare all’attenzione della nostra rete.
La riflessione, ricca di spunti e di riferimenti autorevoli, muove da una domanda articolata: “in che modo la co-progettazione può diventare l’innesco per avviare un processo di innovazione sociale che interessi sia le singole organizzazioni sia il territorio di riferimento, alla luce della Riforma del Terzo Settore e delle attuali trasformazioni socioeconomiche imposte dal Covid”?
Si tratta, inizialmente, di sapere cosa evitare e cosa cercare: l’organizzazione, infatti, durante un momento di crisi deve evitare:
- di chiudersi in sé stessa
- di rincorrere ciò che è stato
- il “tutti contro tutti”.
Al contrario, l’organizzazione durante un momento di crisi deve cercare nuove alleanze!
Il dibattito, molto attuale, tra gli studiosi e gli esperti è altrettanto complesso e si sviluppa in modo polare tra approcci opposti che classificano la co-progettazione da “amico a falso amico” (Zandonai e Bandera, Marocchi).
Ma la co-progettazione è molto di più! Oggi alcune dimensioni di cambiamento favoriscono una considerazione più ampia di tale concetto.
La Riforma del Terzo settore, infatti rafforza e pone in posizione di rinnovata importanza il ruolo della cooperazione e quindi delle logiche di interazione con il pubblico-privato. Accanto a ciò si è sempre più affermata nel contesto del sociale la centralità della dimensione territoriale, intesa come learning community, che deve rappresentare il punto di riferimento di ogni politica di servizio.
In ultimo i cambiamenti nei sistemi e riferimenti del welfare suggeriscono approcci multicomponenziali in cui occorre tenere presenti una serie di sotto-sistemi che si influenzano reciprocamente:
- policontestualità
- vulnerabilità
- territorializzazione
- bisogni/desideri
- prossimità adattamento
A questo punto nasce una seconda questione: come valorizzare l’interdipendenza che ha fatto emergere la crisi? Occorre “allestire contesti abilitanti: luoghi, eventi, attività, che stimolino l’ergere di soluzioni a partire da un lavoro sulle condizioni per… e la possibilità di…, piuttosto che una maggiore istituzionalizzazione o la crescita della lista di servizi pianificati a tavolino”.
Si tratta cioè di costruire intelligenze collettive, creare convergenze per nuove alleanze e adottare un approccio sperimentale.
Così Venturi e Zandonai definiscono il nuovo approccio ecologico “Questo modello [ecosistemico] contribuisce a scalzare l’approccio fin qui dominante che si concentra sul raggiungimento di un vantaggio competitivo in un settore ben definito per effetto del quale le imprese devono operare in un contesto fatto sostanzialmente da concorrenti, fornitori e clienti. Il limite di tale approccio è proprio legato al fatto che non presta sufficiente attenzione al contesto, all’interazione con gli stakeholder e soprattutto ai processi collaborativi e di co-produzione. In questo senso, una strategia autenticamente ecosistemica è tale quando è in grado di incorporare e di portare a valore l’ambiente (soggetti, oggetti e relazioni) entro cui l’impresa opera”.
In tal modo si formalizza il passaggio dalla considerazione delle reti come forme di coordinamento a reti come eco-sistemi di risorse.
Occorre, dunque, passare dalla teoria alla pratica! Facciamolo con le parole di André Gorz:
Per immaginare il futuro partiamo dal «riconoscere le possibilità non realizzate che sonnecchiano nelle pieghe del presente.